Mohammad Akbari è un grande esempio di integrazione. La sua
è una storia difficile, una storia di migrazioni figlie dei giorni nostri, ma
occasione di riscatto per chi cerca una vita migliore. A lui è stata tra
l’altro assegnata una delle tre menzioni speciali nell’ambito del Premio
Samaritano AVIS 2018.
Mohammad è un ragazzo dell’Afghanistan di 24 anni che dopo un viaggio lungo 7 mesi è riuscito ad arrivare in Italia. Appartiene agli hazāra, un gruppo etnico che vive prevalentemente in una regione montuosa dell’Afghanistan centrale, nota come Hazarajat o Hazaristan. Suo padre era capo del villaggio e per queste ragioni personaggio in vista al punto tale da non consentire ai suoi figli di vivere con lui. Mohammad è cresciuto in Iran con suo zio e all’età di 11 anni ha iniziato a lavorare come operaio nel settore edile e nelle costruzioni. “Ai miei 15 anni ho deciso di andare via”, racconta Mohammad. È a quell’età, infatti, che in Afghanistan gli uomini iniziano a pensare e a progettare il proprio futuro. “Non avevo documenti – dice – ma ho deciso di partire lo stesso”.
Mohammad è un ragazzo dell’Afghanistan di 24 anni che dopo un viaggio lungo 7 mesi è riuscito ad arrivare in Italia. Appartiene agli hazāra, un gruppo etnico che vive prevalentemente in una regione montuosa dell’Afghanistan centrale, nota come Hazarajat o Hazaristan. Suo padre era capo del villaggio e per queste ragioni personaggio in vista al punto tale da non consentire ai suoi figli di vivere con lui. Mohammad è cresciuto in Iran con suo zio e all’età di 11 anni ha iniziato a lavorare come operaio nel settore edile e nelle costruzioni. “Ai miei 15 anni ho deciso di andare via”, racconta Mohammad. È a quell’età, infatti, che in Afghanistan gli uomini iniziano a pensare e a progettare il proprio futuro. “Non avevo documenti – dice – ma ho deciso di partire lo stesso”.
Il suo viaggio parte da una piccola città villaggio al nord
dell’Iran con prima destinazione Van, una città della Turchia orientale, nei
pressi dell’omonimo lago. “Abbiamo fatto tanta strada a piedi – dice Mohammad –
durante la notte ci spostavamo a piedi, mentre di giorno eravamo costretti a
nasconderci tra le montagne per sfuggire alle milizie. Usavamo rifugi e
nascondigli di fortuna, nelle grotte e nei nascondigli naturali che le montagne
offrivano”. Tanta fatica per un viaggio estremamente faticoso, compiuto a tappe
e nella prima parte prevalentemente a piedi. Poi oltre 1600 Km in autobus, in
autostop e in parte in taxi per portare Mohammad e i suoi compagni di avventura
fino a Istanbul, sullo stretto del Bosforo. “Lì siamo rimasti fermi per qualche
giorno – racconta Mohammad – fino a quando siamo stati trasferiti a Izmir, una
città sulla costa turca dell’Egeo dove era previsto il nostro viaggio in
traghetto verso la Grecia”. Un percorso a tappe quello di Mohammad e dietro
ogni tappa c’è un corrispettivo che bisognava pagare a coloro che di questi
viaggi della speranza ne ha fatto un vero e proprio mestiere, sulla pelle di
tante persone come Mohammad.
Quatto mesi ad Atene, la capitale della Grecia prima della
traversata più difficile e più pericolosa, quella che avrebbe portato Mohammad
in Italia. A vuoto il primo tentativo, nulla da fare neppure la seconda volta,
è solo alla terza volta che il barcone carico di migranti può partire. Mohammad
aveva solo 16 anni quando arriva in Italia il 18 gennaio del 2010 con suo
cugino. È notte fonda, è inverno, è buio e fa freddo quando sbarcano a Santa
Maria di Leuca, ma loro non sanno neppure di essere in Italia, un po’ come
Cristoforo Colombo quando arrivò in America. Sono stanchi e provati. Le strade
del Salento sono deserte, Mohammad e suo cugino non conoscono la lingua. Passò
di lì un’auto della vigilanza privata che allertò le forze dell’ordine e i
soccorsi italiani.
Mohammad venne trasferito a Torre Lapillo, una località
vicino a porto Cesareo, in un centro di accoglienza per minori ed è lì che ebbe
inizio la sua seconda vita. Poco dopo trovò un lavoro come benzinaio fino a
quando venne preso in affidamento dal Presidente Regionale AVIS della Puglia,
Cosimo Luigi Bruno. “Una persona meravigliosa – dice Mohammad – devo molto a
lui e alla sua famiglia”. Oggi vive a Carmiano, in provincia di Lecce, è
diplomato in servizi socio sanitari ed è anche un operatore sociale. Ha trovato
lavoro come pizzaiolo, è un donatore di sangue AVIS ed è anche iscritto
nell’elenco dei donatori di midollo osseo. La sua pizza preferita è quella ai
cereali ai 4 formaggi con la pancetta. Mohammad è musulmano e per via della sua
religione quella pizza non la mangia, ma – dice – “è quella che mi riesce
meglio, almeno così dicono i clienti”. Lui oggi è uno straordinario esempio di
riscatto e di integrazione, non senza le solite difficoltà e i soliti
pregiudizi. “Ogni volta che dono il sangue sono felice – dice Mohammad – perché
il sangue è una di quelle cose che ci rende tutti uguali”.
(fonte: www.avis.it)
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